Un vero ristorante ebraico, un ragazzo che in cucina sta controllando il cibo kosher in un grande frigorifero, alla lavagna un menu' casalingo semplice e delizioso. Sugli scaffali di un vecchio armadio in legno tanti libri che nei periodi più restrittivi del coronavirus dovevano venire isolati e distanziati da possibili contatti umani o nella peggiore delle ipotesi, qualcuno diceva, addirittura eliminati.
Quando Simcha inizia a raccontare la sua storia a me sembra proprio che nel riordinare sottovoce i suoi ricordi lui sia come alle prese con il grande armadio della sua memoria.
Simcha è stato in questo posto per più della metà della mia vita.
Nelle fotografie appese sulla parete lo vedo ancora con i capelli neri e le ciocche laterali, in un altro scatto con la barba bianca e poi in una piazza di Praga in versione burattinaio con Pinocchio, insieme ad altri artisti; appesi sul muro i disegni a matita a mano libera e sugli scaffali una bottiglia di acquavite; sono foto che parlano così fedelmente della meravigliosa vita di questa persona che avrei potuto limitarmi a guardarle per ricostruire in maniera iconica i suoi momenti più importanti. Ma proprio quando ho staccato il mio sguardo dalle foto per ascoltare direttamente dalla viva voce di Simcha i suoi racconti, mi sono reso conto che la memoria del mio registratore si stava esaurendo.
Proverò allora a raccontarvi brevemente cosa ricordo di quel che Simcha mi ha detto: ricordi di ricordi che affiorano e sbocciano dall'armadio dei ricordi di Simcha.